Welfare aziendale (rif. Il Sole 24Ore)
È di questi giorni la notizia che un'importante azienda del nord-est del Paese ha siglato un accordo integrativo aziendale che prevede, fra l'altro, la concessione di otto ore di permesso retribuito l'anno per la cura dei propri animali domestici.
Ma di cosa parliamo quando utilizziamo il termine welfare aziendale?
Con il termine welfare aziendale s'intende l'insieme di quelle prestazioni non monetarie a sostegno del dipendente, volte ad accrescere ed incrementare non solo il benessere del lavoratore ma anche quello della propria famiglia, sotto un profilo socio-economico.
Tali iniziative di natura contrattuale (a livello aziendale o territoriale) vanno ad affiancarsi alla classica retribuzione e consistono solitamente in benefit rimborsuali o nella diretta fornitura di beni e servizi in natura.
Il welfare aziendale, non soltanto è uno strumento a disposizione delle imprese per erogare bonus e servizi a favore dei lavoratori, ma comporta altresì importanti vantaggi fiscali per gli stessi soggetti coinvolti.
Infatti, per quanto riguarda più strettamente l'aspetto normativo, il welfare aziendale è una forma di retribuzione in beni e servizi in natura per il lavoratore dipendente che, entro certi limiti e a date condizioni, non costituisce reddito e, quindi, non determina imposizione fiscale e contributiva né a carico del lavoratore né a carico del datore di lavoro.
Attraverso piani di welfare aziendale è dunque possibile ridurre (se non addirittura eliminare) il "cuneo fiscale", vale a dire la differenza tra quanto costa un dipendente al datore di lavoro e quanto riceve al netto lo stesso lavoratore, calcolata in percentuale del salario lordo.
Difatti, in base alla normativa fiscale vigente (art. 51 TUIR comma 2 e 3), gli importi da destinare al welfare non costituiscono reddito e quindi non determinano imposizione fiscale e contributiva né a carico del singolo lavoratore né a carico del datore di lavoro.
Per quanto riguarda, invece, la definizione degli importi da destinare al welfare, questi possono essere collegati a premi di risultato, definiti sulla base degli andamenti aziendali (utili, ricavi, incrementi di produttività, miglioramento della qualità di prodotti e servizi, miglioramento dell'immagine) oppure a condizioni contrattuali (contratti nazionali, territoriali, aziendali e regolamenti interni).
Certo è che, al di là degli aspetti più propriamente giuridici, politiche di welfare aziendale permettono alle società di incrementare la produttività dei lavoratori e la fidelizzazione degli stessi all'impresa, oltre che consentire ai dipendenti di ottenere l'accesso a costosi servizi sul mercato, come ad esempio l'accesso a forme di tutele previdenziali, assistenziali, sanitarie e culturali , ulteriori e diverse rispetto a quelle già previste e garantite dallo Stato.
Le aree in cui le imprese intervengono più diffusamente con politiche di welfare aziendale sono: sostegno al potere di acquisto, supporto alla educazione e istruzione, tutela pensionistica complementare, assistenza sanitaria, servizi di assistenza alla persona, bambini e adolescenti, conciliazione vita-lavoro, servizi ricreativi culturali e sportivi.
Ma vi sono anche società che hanno deciso di introdurre, attraverso specifici accordi integrativi aziendali, la possibilità per i neo papà di fruire di più giorni di congedo di paternità, rispetto a quelli già garantiti dalla contrattazione collettiva, oppure che hanno garantito ai singoli lavoratori di usufruire di un week-end più lungo, permettendo loro di lavorare 38 ore settimanali, ma mantenendo comunque ferma la retribuzione parametrata sulle 40 ore settimanali.
Altre aziende, invece, hanno predisposto al proprio interno dei punti di raccolta per la ricezione degli acquisti effettuati online dai dipendenti e hanno creato delle specifiche figure di "assistente" che, una volta al mese, si rendono disponibili a svolgere commissioni di natura burocratica per conto degli stessi lavoratori.
Ma per quali scopi possono essere efficacemente utilizzate queste politiche di welfare aziendale?
Da una analisi dei più recenti accordi integrativi si può, infatti, rilevare come il welfare aziendale rappresenti oggi uno dei principali strumenti a disposizione del mondo HR. I responsabili delle risorse umane, infatti, possono sfruttare tali accordi al fine di favorire la conciliazione lavoro-vita privata dei dipendenti. Le politiche di welfare aziendale, rappresentano di fatto un mezzo tramite il quale far aumentare il potere d'acquisto dei propri dipendenti e, attraverso il quale si può tentare di migliorare il clima all'interno degli stessi ambienti di lavoro, favorendo in tal modo perfino la diminuzione del turnover e dell'assenteismo.
In tale contesto, quindi, ciò che più rileva è il valore intrinseco riconosciuto dai dipendenti ai beni e servizi loro concessi dal datore di lavoro: esso, infatti, è maggiore rispetto al costo effettivo sostenuto dall'azienda, il che permette all'imprenditore di perseguire obiettivi di attaccamento e motivazione dei lavoratori, nonché di costruzione di una salda corporate identity, con in più una ottimizzazione fiscale e contributiva attese le significative agevolazioni riconosciute dalla normativa vigente.